Direttore: Alessandro Plateroti

Si fanno palpabili, ogni giorno di più, le preoccupazioni della “business community”, prima ancora delle autorità europee, sulle condizioni finanziarie in cui versa il nostro Paese e sulla necessità di una Legge di bilancio in grado, da una parte, di rilanciare, o per lo meno, sostenere la nostra economia e, dall’altra, “mettere in sicurezza” i nostri conti. Un equilibrismo non semplice, che ricorda un po’ quello che succede per le Banche Centrali ogni qualvolta si riuniscono i Comitati Direttivi per decidere se alzare i tassi per rendere più difficile la vita all’inflazione ovvero lasciarli invariati per favorire la crescita.

Tutto “ruota”, ancora una volta, intorno al nostro debito pubblico, un “buco nero” che rischia di inghiottire le risorse che,  con difficoltà sempre maggiori, devono essere reperite per assicurare i servizi, dalla sicurezza alla sanità all’istruzione, etc., di cui abbiamo bisogno.

L’andamento del nostro spread è il tipico esempio di “causa-effetto”: il suo livello è, da qualche giorno, stabilmente intono ai 180 bp, con tendenza, peraltro, all’allargamento. Cosa che ha fatto lievitare il rendimento del BTP decennale al 4,58%, il più alto in Europa, ben superiore al 4,15% della Grecia o al 3,80% della Spagna. Un evidente segnale di sfiducia nei confronti del nostro Paese: ciò significa che il Tesoro, per fornire nuove motivazioni a “comprare” il nostro debito lo deve remunerare di più. Ma così facendo la “forbice” dello spread continua ad allargarsi, generando nuova sfiducia.

L’andamento dello spread ha una valenza determinante per qualsiasi Paese: in un semplice numero (che poi tanto semplice non è) ne vengono racchiuse la credibilità e la stabilità, non solo “finanziaria”. Ancor di più lo è, ovviamente, per quei Paesi il cui debito ha proporzioni elevate: ormai è noto, per esempio, che tra quest’anno e l’anno prossimo (a dire il vero per cause non solo legate alla ns particolare situazione, ma alle particolari contingenze di politica monetaria) ci troveremo a pagare quasi € 200 MD (almeno 80MD quest’anno, ma il rischio è che il conto diventi più salato) e € 100 MD l’anno prossimo.

Un anno, quello che verrà, non semplice sul fronte delle emissioni: si pensa, infatti, che, al di là dei rinnovi dei titoli che andranno in scadenza, la quota di nuovi titoli che dovranno essere emessi dovrebbe aggirarsi intorno a € 130 MD, di cui circa 80 MD solo per coprire il deficit di esercizio (che dovrebbe posizionarsi intorno al 4%, quindi un po’ sopra il 3,7% di cui si parla in questi giorni), a cui si aggiungono altri 30MD circa relativi ai crediti immobiliari rivenienti dal 110%. Senza contare la quota di titoli detenuta dalla BCE che andranno in scadenza, ma che non verranno più rinnovati, essendo decaduto il QE messo in atto in questi anni al fine di mantenere vicino allo zero (o sotto zero) i tassi. Da qui il timore che l’obiettivo di ridurre il debito, portandolo dal 142,1% al 141,4%, come dichiarato nel Documento di Economia e Finanza dello scorso aprile, possa non essere mantenuto, anzi, con la probabilità neanche così remota che ci possa essere un nuovo aumento. Anche perché, con il diminuire dell’inflazione, la cui spinta sul PIL è evidente, scendono anche i benefici sul debito (che viene sempre conteggiato al “valor nominale”, per cui l’inflazione ha “impatto zero”): in altre parole, anche nella remota ipotesi che debito e PIL rimanessero invariati, la presenza dell’inflazione non avrebbe conseguenze sul debito (numeratore) mentre le avrebbe eccome sul PIL (denominatore), che aumenterebbe “naturalmente”. Per cui il rapporto diminuirebbe anche a “bocce ferme”.

Le “scorciatoie” (vd alla voce condoni…..) di cui è dato leggere in questi giorni non sono tra le cose che farebbero felici i nostri partner europei e, ancor di più, chi è chiamato a dare fiducia al nostro Paese, facendo ridurre una volta di più la nostra credibilità internazionale e “rimandando” di fatto la soluzione dei problemi, magari “scaricandoli” su chi, politicamente, verrà dopo).

La settimana si apre ancora una volta con i mercati del Far East a 2 velocità: da una parte il Giappone, con il Nikkei che sale dello 0,87%, dall’altra i mercati Great China, con l’Hang Seng di Hong Kong che scivola dell’1,45% e Shanghai che arretra dello 0,56%, penalizzati dal settore immobiliare.

Sale Taiwan (+ 0,7%), mentre stanno chiudendo in lieve calo la Corea e l’Australia.

Futures americani ed europei in crescita, con rialzi intorno allo 0,30%.

Petrolio che torna a salire, con il WTI che si conferma sopra i $ 90 (90,50, + 0,42%).

Gas naturale Usa a $ 2,63 (- 0,38%).

Oro a $ 1.923 (- 0,31%).

Spread a 183,8 bp, nuovo massimo da giugno.

BTP al 4,57%.

Bund 2,73%.

Treasury al 4,45%, in leggero ribasso dai massimi di venerdì.

€/$ a 1,0647.

Bitcoin ritornato sui suoi passi, con le quotazioni nuovamente alla soglia dei $ 26.000 (26.045).

Ps: a Berlino è stato “annientato” il record della Maratona femminile (peraltro il percorso, sostanzialmente piatto, si presta a questo tipo di prestazioni): a batterlo l’etiope Tigist Assefa. E sino quindi, “nulla di nuovo”, visto il tradizionale predominio, su queste distanze, degli atleti africani. A fare notizia il tempo ottenuto: 2h 11’ 53”, ben 2’11” meno il primato precedente, con la seconda metà della gara percorsa in 1h05’32” e gli 2.195 mt nello stesso tempo di Kipchoge, il più forte maratoneta al mondo. Pare, però, che la “tecnologia” ci abbia messo più di uno zampino: ai piedi la nuova recordwoman mondiale indossava un particolare modello di scarpette dell’Adidas, definite a “gondola” per la loro forma e del peso di 138 grammi.

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ultimo aggiornamento: 25-09-2023


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